Stefano Zanini “Zazà” esprime parole di elogio nei confronti di questo Giro d’Italia numero 102.
“ Un Giro penso molto aperto nella prima metà – illustra il diesse dell’Astana – a parte la crono di San Marino che può dare segnali importanti. Comunque dalla tredicesima tappa in avanti il Giro diventa una corsa a tappe impegnativa e molto dura. È comunque un Giro moderno, che mi piace, anche se mi era piaciuto pure quello del ’94 (…sorride n.d.r.) perché è il primo che ho corso da professionista. Un Giro disegnato molto bene, molto aperto. E soprattutto c’è una grande cosa a fare la differenza. Non ci sono trasferimenti troppo lunghi. Un vantaggio che permette sia ai corridori che allo staff (che si da sempre davvero tanto un gran da fare ricordiamolo, dai massaggiatori ai meccanici e al gruppo dei diesse) di recuperare”.
Un Giro con sempre meno corridori italiani, cosa fare da parte di voi diesse? “Bisogna investire sempre di più sui giovani e cercare di portarli al professionismo nel modo migliore. Comunque sono sicuro che anche in queso Giro gli italiani presenti sapranno mettersi in evidenza e fare ottime cose…questa è la nostra corsa, sono le nostre strade”.
I direttori sportivi italiani, in un mondo sempre più globalizzato come si stanno muovendo rispetto ad un ciclismo italiano che invece rischia di rinchiudersi sempre più?
“Non voglio giudicare nessuno – ammette Zanini – ma credo di poter dire che i direttori sportivi italiani stanno facendo sistema. C’è ovviamente un cambio generazionale in atto, e quindi ci si deve adeguare ai tempi e alle mentalità diverse. I diesse italiani devono cominciare ad essere sempre più al passo con i tempi, essere tecnologici e conoscere più lingue. Nella mia squadra ho a che fare con atleti da tutto il mondo. E i miei colleghi sono sempre più al passo con in tempi. La gran parte cominciano ad essere all’altezza del proprio ruolo, e sempre più squadre straniere cercano anche i nostri direttori sportivi che hanno una ottima visione della corsa e un bel rapporto con gli atleti”.
Un diesse deve mantenere sempre il rapporto con gli atleti senza filtri?
“Certamente è fondamentale conoscere l’atleta. Anche sei io, da corridore, con i direttori sportivi che ho avuto sono sempre stato benissimo. Sono convinto che un diesse deve insegnare al corridore ad esser capace di muoversi da solo, di essere indipendente. Ecco, noi diesse italiani tendiamo ancora troppo a “viziare” i corridori italiani, ma non tutti sono sempre così. Un pizzico più viziati dei corridori stranieri, che si muovono in modo più indipendente, in autonomia, sono sempre gli italiani. Un diesse deve portare l’atleta, il corridore ad essere autonomo, fargli fare il salto di qualità anche se deve comunque sempre avere un feedback da lui in modo costante. Per capire quali sono i momenti buoni, i momenti difficili anche nella vita privata perché spesso questa può condizionare la vita dell’atleta stesso. E i corridori sono più fragili dal punto di vista psicologico rispetto a qualche generazione fa”.